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I Magistrati informano

Pubblichiamo la lettera della dott.ssa Anna Maria Rossi, Magistrato del Tribunale di Bologna, in risposta all’articolo “Tribunali chiusi e nessuno ne parla. Il Silenzio sulla Giustizia ferma”, pubblicato lo scorso 10 maggio sul Corriere della Sera.

(25 maggio 2020)

 

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Gentile Direttore, 
 
riprendendo il tema molto opportunamente trattato nell’articolo pubblicato il 10 maggio u.s., “Tribunali chiusi e nessuno ne parla. Il Silenzio sulla Giustizia ferma” vorrei in primo luogo ringraziare il che con parole alte ricorda il rilievo sociale delle funzioni pubbliche, richiama alla necessità del ragionamento e della informazione, e sottolinea la scarsezza del dibattito giuridico su ciò che sta accadendo nel nostro Paese, nonostante la evidente straordinarietà del momento, che ha comportato, tra l’altro, una limitazione delle libertà personali davvero eccezionale.  
Vorrei ringraziare anche il vostro Giornale, se riterrà di prestare spazio a questo scambio di opinioni.
Debbo dire infatti che non mi pare condivisibile, nella sua assolutezza (neppure con riferimento alla data in cui è stato pubblicato l’articolo) la rappresentazione di una giustizia civile “ferma”, e dei Tribunali “chiusi”, perché non corrisponde alla situazione in concreto vissuta nei due mesi ormai decorsi, anche se probabilmente corrisponde alla percezione della generalità dei cittadini, e di un numero non ristretto di professionisti e operatori che hanno rapporti con gli uffici giudiziari, il che giustifica ulteriormente lo sforzo di inviare questo modesto scritto.
L’attività giudiziaria si svolge, per una parte consistente, senza un necessario contatto con il pubblico, perché è costituita dallo studio, dalle discussioni in camera di consiglio e dalla stesura dei provvedimenti: questa attività non si è ovviamente mai interrotta, e pure rappresenta una risposta alla esigenza di giustizia, di carattere sostanziale, conducendo alla definizione dei procedimenti. 
E’ tuttavia vero che è importante per la fondazione della civile convivenza anche la percezione della costante presenza ed attualità della tutela, che implica la possibilità di accedere agli uffici e alle aule di giustizia, e di ottenere una risposta in tempi brevi.
Per questi aspetti si richiama (per sommi capi, per ovvia necessità) la legislazione di emergenza, che nella sua evoluzione tumultuosa e incalzante, è giunta senz’altro a definire due fasi, della vita sociale, che trovano corrispondenza in altrettante fasi nello svolgimento della attività giudiziaria.
Per un primo periodo, a partire dal d.l. n.9 del 2.3.2020, e ora con l’art.83 del d.l.18 del 2020, (convertito in legge, e ulteriormente modificato) è stato previsto il differimento d’ufficio di tutte le udienze, e la sospensione dei termini per il compimento degli atti, salvo alcune tipologie di procedimenti urgenti per legge, e quelli dichiarati tali da singolo Giudice.
Per il secondo periodo, dal 12 maggio al 31 luglio 2020, la regola è invertita, e non è in effetti prevista la sospensione dei termini processuali, e neppure il differimento d’ufficio e generalizzato delle udienze.
Per la preminenza del diritto alla salute in entrambi i periodi la trattazione delle udienze deve comunque avvenire nel rispetto delle norme del protocollo sanitario;  quindi in tutti i casi in cui vi sono le condizioni è preferibile l’adozione delle forme “speciali” da remoto o con scambio di note scritte, strumenti pensati per fornire una soluzione alla necessità di distanziamento propria della  emergenza sanitaria.
La legislazione emergenziale, e ora specialmente l’art.83 citato, hanno infatti conferito ai Dirigenti degli uffici, per la salvaguardia della salute pubblica, oltre a poteri più propriamente organizzativi, il potere di prevedere lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati, o mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, salvo il potere di rinvio, ove giustificato dalla impossibilità di garantire il rispetto dei protocolli sanitari.
A fronte di queste disposizioni, davvero straordinarie, il periodo di tendenziale sospensione delle attività di udienza, fino all’11 maggio 2020, è stato prezioso per consentire la messa a punto degli strumenti, tecnologici e non, necessari a tenere le udienze nelle forme peculiari consentite dalla legislazione di emergenza. Si è trattato in concreto di installare e sperimentare i software necessari per tenere le udienze da remoto; approvare, nel contempo, i Protocolli di intesa tra gli Uffici Giudiziari e gli Ordini Forensi, così da individuare modelli di trattazione condivisi, idonei a garantire la efficienza del processo ed i diritti di difesa, nelle mutate  forme, rispetto al modello del codice di procedura; le poche, ma non insignificanti attività svolte in via di urgenza ne hanno consentito la sperimentazione concreta.
Vi è da aggiungere che le forme speciali di trattazione delle udienze previste dalla legislazione di emergenza sono possibili solo in ragione del lungo e complesso procedimento di implementazione del processo civile telematico che ha portato ormai ad avere (in molti uffici, anche se forse non in tutti) la quasi totalità di fascicoli civili in forma appunto telematica, come tali continuamente accessibili alle parti legittimate, a prescindere dall’accesso fisico agli uffici giudiziari.
In definitiva, quindi, ad avviso di chi scrive, la chiusura fisica, totale o parziale, degli uffici giudiziari non si è tradotta sinora, e non si tradurrà, da ora al termine del periodo di emergenza, nella sospensione della giurisdizione, ma in una operatività perdurante, pur se in parte rallentata, e selettiva, frutto comunque dei molti passi compiuti nell’ultimo decennio, e della accelerazione impressa negli ultimi due mesi.
Queste osservazioni, che derivano dalla pratica giudiziaria, nei suoi aspetti di pur emergenziale quotidianità, non hanno la pretesa di interferire con altre valutazioni, sistematiche e complessive, che riguardino il processo civile, come strutturato nell’ordinamento. 
Semplicemente esprimono il dissenso dalla immagine di una magistratura distratta ed immobile, indifferente alle sorti del paese, in cui mi è impossibile riconoscermi.

 

dott. Anna Maria Rossi

Per il Cittadino Per il Cittadino

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